01

ULISSE
di
James Joyce

TELEMACO

Traduzione di Giulio De Angelis
versione originale inglese e note: The Joyce Project 


Solenne e paffuto, Buck Mulligan comparve dall'alto delle scale, portando un bacile di schiuma su cui erano posati in croce uno specchio e un rasoio. Una vestaglia gialla, discinta, gli levitava delicatamente dietro, al soffio della mite aria mattutina. Levò alto il bacile e intonò:
Fermatosi, scrutò la buia scala a chiocciola e chiamò berciando:
- Vieni su, Kinch! Vieni su, pauroso gesuita.
Maestosamente avanzò e ascese la rotonda piazzuola di tiro. Fece dietrofront e con gravità benedisse tre volte la torre, la campagna circostante e i  monti che si destavano. Poi, avvedutosi di Stephen Dedalus, si chinò verso di lui e tracciò rapide croci nell'aria, gorgogliando di gola e tentennando il capo. Stephen Dedalus, contrariato e sonnolento, appoggiò i gomiti sul sommo della scala e guardò con freddezza la tentennante e gorgogliante faccia che lo benediceva, cavallina nella lunghezza, e i chiari capelli senza tonsura, marezzati color quercia chiaro.
Buck Mulligan sbirciò per un attimo sotto lo specchio e poi coprì lestamente il bacile.
- Rientra in caserma! disse severo.
Poi con un tono da predicatore:
- Perché questo, o miei diletti, è il genuino Cristino: corpo e anima e sangue e angue. Musica adagio, di grazia. Chiudete gli occhi, rispettabile pubblico. Un momento. C'è un piccolo guaio con quei corpuscoli bianchi. Silenzio, tutti.
Sogguardò di sghembo e lanciò un lungo sordo fischio di richiamo, poi con rapita attenzione fece una pausa, e i denti bianchi e regolari gli brillavano qua e là di schegge d’oro. Crisostomo. In risposta due forti fischi acuti attraversarono la quiete.
- Grazie, vecchio mio, gridò vivacemente. Così non c’è malaccio. Stacca la corrente, ti dispiace?
Saltò giù dalla piazzuola e guardò gravemente il suo osservatore, raccogliendosi intorno alle gambe le pieghe volanti della vestaglia. Il nereggiante viso paffuto e la proterva mascella ovale rammentavano un prelato, protettore delle arti nel medio evo. Un amabile sorriso si diffuse pacatamente sulle sue labbra.
Lo segnò a dito con amichevole celia e si avviò al parapetto, ridendo tra sé. Stephen Dedalus venne su, lo seguì stancamente per un tratto e si sedette sull'orlo della piazzuola continuando a guardarlo mentre lui appoggiava lo specchio sul parapetto, intingeva il pennello nel bacile e si insaponava guance e collo.
La gaia voce di Buck Mulligan continuò:
- Anch'io ho un nome assurdo: Màlachi Mùlligan, due dattili. Ma ha un certo qual suono ellenico, vero? Saltellante e solare proprio come un cerbiatto. Dobbiamo andare ad Atene. Ci vieni se riesco a far sborsare venti sterline alla zia?
Mise giù il pennello e, ridendo di gusto, urlò:
- Verrà lo sparuto gesuita?
Chetatosi, cominciò a sbarbarsi con cura.
- Senti, Mulligan, disse piano Stephen.
- Parla, amor mio.
- Quanto tempo starà ancora Haines in questa torre?
Buck Mulligan mostrò una gota rasata al di sopra della spalla destra.
- Dio, ma quello è tremendo, no? disse con franchezza. Un sassone ponderoso. Non ti considera un gentiluomo. Dio, questi dannati inglesi. Crepano di quattrini e di indigestione. Perché lui viene da Oxford. Sai, Dedalus, tu hai tutto il tono di Oxford. Non arriva a capirti. Oh, ma il nome che ti ho dato è l’ideale: Kinch, lama di coltello.
Si faceva una cauta passata sul mento.
- Ha delirato tutta la notte di una pantera nera, disse Stephen. Dov'è la fonda del suo fucile?
- Un miserabile pazzo, disse Mulligan. Hai avuto fifa?
- Eccome, disse Stephen con energia e con crescente paura. In un posto simile al buio con un uomo che non conosco, che delira e geme tra sé di sparare a una pantera nera. Tu hai salvato uomini che stavano per affogare. Ma io, non sono un eroe. Se resta qui lui me ne vado io.
Buck Mulligan guardò accigliato la spuma sulla lama del rasoio. Saltò giù dal suo trespolo e cominciò a frugarsi in fretta nelle tasche dei pantaloni.
Taglia la corda, gridò con voce spessa.
Si avvicinò alla piazzuola e, cacciando una mano nel taschino di Stephen, disse:
- Mollaci in prestito il tuo moccichino per asciugare il rasoio.
Stephen tollerò che tirasse fuori e tenesse in mostra per un angolo un fazzoletto sporco e gualcito. Buck Mulligan pulì diligentemente la lama. Poi, percorrendo con lo sguardo il fazzoletto, disse:
- Il moccichino del bardo! Nuovo colore pittorico per i nostri poeti irlandesi: verdemoccio. Sembra di sentirselo in bocca, vero?
Risalì sul parapetto e percorse con lo sguardo la baia di Dublino, i biondi capelli querciapallida lievemente mossi.
- Dio, disse tranquillamente. Il mare è proprio come dice Algy: una dolce madre grigia, no? Il mare verdemoccio. Il mare scrotocostrittore.  Epi oinopa ponton. Ah, Dedalus, i Greci. Ti devo erudire.  Li devi leggere nell’originale. Thalatta! Thalatta! È la nostra grande dolce madre. Vieni a vedere.
Stephen si alzò e si accostò al parapetto. Appoggiatosi abbassò lo sguardo sull’acqua e sul postale che usciva dall’imboccatura del porto di Kingstown.
- La madre nostra possente, disse Buck Mulligan.
Girò bruscamente i grigi occhi indagatori dal mare al viso di Stephen.
- La zia pensa che tu abbia ucciso tua madre, disse. Per questo non vuole che io abbia a che fare con te.
- Qualcuno l'ha uccisa, disse Stephen con mestizia.
- Ti potevi inginocchiare, Kinch, porca miseria quando tua madre te l’ha chiesto in punto di morte, disse Buck Mulligan. Sono iperboreo quanto te. Ma pensare a tua madre che con l’ultimo respiro ti supplicava di inginocchiarti a pregare per lei. E tu hai rifiutato. C’è qualcosa di sinistro in te.
S’interruppe e si rifece una leggera insaponata sull’altra guancia. Un sorriso tollerante gli increspò le labbra.
- Ma un meraviglioso mimo, mormorò a se stesso. Kinch, il più meraviglioso dei mimi.
Si radeva pulito e meticoloso, in silenzio, seriamente.
Stephen, con un gomito sul granito scabro, appoggiò la fronte a una mano e guardò l’orlo sfilacciato della sua manica nera lustra. Una sofferenza, che non era ancora la sofferenza amorosa, gli rodeva il cuore. Silenziosamente, in un sogno era venuta a lui dopo la morte, il corpo consunto nello sciolto sudario scuro spandeva un sentore di cera e di legno di rosa, l’alito che, muto, rampognante, si era chinato su di lui, un lieve odore di ceneri bagnate. Oltre il polsino sfrangiato egli vedeva il mare che la ben pasciuta voce al suo fianco salutava come grande dolce madre. L’anello della baia e dell'orizzonte conteneva una fosca massa verde di liquido. Presso il suo letto di morte posava un bacile di bianca porcellana contenente la verde bile vischiosa che con accessi di vomito altogemente ella aveva divelto al fegato in putrefazione.    
     Buck Mulligan nettò di nuovo la lama del rasoio.
- Ah, povero corpo d'un cane, disse con voce gentile. Ti devo dare una camicia e qualche moccichino. E che ne è delle brache di seconda mano? 
- Mi vanno abbastanza bene, rispose Stephen.
Buck Mulligan attaccò l'incavo sotto il labbro inferiore.
- Che canzonatura, disse soddisfatto, si dovrebbero chiamare di seconda gamba. Dio sa quale sifiletilico le ha smesse. Io ne ho un bel paio con un righino, grigie. Con quelle farai faville. Non sto scherzando Kinch. Fai un figurone quando ti vesti bene.
- Grazie, disse Stephen. Non le posso portare se sono grigie.
- Non le può portare, Buck Mulligan disse alla sua faccia nello specchio. L'etichetta è l'etichetta. Ammazza la madre, ma non può portare pantaloni grigi.
Chiuse diligentemente il rasoio e con carezzosi polpastrelli si palpeggiò la pelle liscia.
Stephen girò lo sguardo dal mare alla faccia paffuta dai mobili occhi azzurrofumo.
- Quel tale che era con me al Ship ieri sera, disse Buck, dice che tu hai la p.g.a. Lui è a Cretinopoli con Conolly Norman. Paralisi generale degli alienati!
Sventagliò a semicerchio lo specchio nell'aria per lampeggiare all'intorno le notizie nella luce del sole adesso raggiante sul mare. Le labbra sbarbate e increspate risero, e così pure i bordi dei denti bianchi, scintillanti. Il riso s'impadronì di tutto il suo torso forte, ben piantato.    
     - Guardati, disse, o tremendo bardo!
Stephen si chinò in avanti e scrutò lo specchio a lui offerto, rigato da un'obliqua incrinatura. Ritti i capelli. Come mi vedono lui e gli altri. Chi mi ha scelto questa faccia? Questo corpo d’un cane da spidocchiare. Lo domanda anche a me.
- L'ho pizzicato nella stanza della sguattera, disse Buck Mulligan. Per lei va benissimo. La zia tiene sempre serve brutte per Malachi. Non lo indurre in tentazione. Si chiama Orsola.
Tornato a ridere sottrasse lo specchio agli occhi scrutatori di Stephen.
- O rabbia di Calibano perché non si vede la faccia in uno specchio, disse. Ci fosse ancora Wilde a vederti. 
Tirandosi indietro e puntando il dito, Stephen disse con amarezza:
Improvvisamente Buck Mulligan allacciò il braccio a quello di Stephen e si mise a passeggiare con lui attorno alla torre, il rasoio e lo specchio stridenti nella tasca dove li aveva cacciati.
- Non sta bene tormentarti così, vero Kinch? disse bonariamente. Lo sa Dio che vali più di tutti loro.
Un'altra parata. Teme la lancetta della mia arte come io temo quella della sua. Il freddo acciaio della penna.
- Specchio incrinato di una serva. Diglielo a quel bue del piano di sotto e prova a cavargli una ghinea. Puzza di soldi lontano un miglio e dice che non sei un gentiluomo. Il suo vecchio ha fatto il gruzzolo vendendo scialappa agli Zulu o con qualche altro porco imbroglio del genere. Dio mio, Kinch, basterebbe che io e te lavorassimo insieme, potremmo far qualcosa per la nostra isola. Ellenizzarla.
Il braccio di Cranly. Il suo braccio.
- Pensare che devi chiedere la carità a questi porci. Io sono il solo a sapere quel che vali. Perché non mi dài più fiducia? Che cos'è che ti fa torcere il naso contro di me? Haines? Se fa tanto di piantare baccano qui porto giù Seymour e gli diamo una lezione peggio di quella che hanno appioppata a Clive Kempthorpe.
Giovani urla di voci danarose nella stanza di Clive Kempthorpe. Visipallidi: si tengono la pancia dal ridere, sorreggendosi a vicenda. Oh, c'è da crepare! Recale la notizia con riguardo, Aubrey! Qui io muoio! Con la camicia ridotta a fettucce staffilando l'aria saltabecca e brancola intorno al tavolo, i pantaloni calati alle calcagna, rincorso da Ades di Magdalen con le cesoie da sarto. Faccia di vitello sgomento dorata di marmellata d'arance. Non voglio essere messo a culo nudo! Non fate gli stupidi con me!
Dalla finestra aperta gridìo che sconcerta la sera nel cortile. Un giardiniere sordo, in grembiule, mascherato con la faccia di Matthew Arnold, spinge la falciatrice nel prato in ombra aguzzando le ciglia verso lo svolìo dei fili d'erba.
- Che resti pure, disse Stephen. Niente da ridire sul suo conto eccetto di notte.
- Allora che c'è? domandò Buck Mulligan spazientito. Sputa fuori. Io con te parlo chiaro. Che cos’hai adesso contro di me?
Si fermarono, guardando verso il capo smussato di Bray Head che si stendeva sull'acqua come il grugno d'una balena addormentata. Stephen liberò piano il braccio.
- Vuoi che te lo dica? Domandò.
- Sì, che c'è? rispose Buck Mulligan. Io non ricordo nulla.
Scrutava Stephen in faccia così parlando. Una lieve brezza gli passò sulla fronte, sventagliandogli mollemente i biondi capelli spettinati e suscitandogli argentei luccichii d'ansia negli occhi.
Stephen, avvilito dalla propria voce, disse:
- Ti ricordi il primo giorno che sono venuto a casa tua dopo la morte di mia madre?   
     Di colpo Buck Mulligan si accigliò e disse:
- Che cosa? Dove? Non mi ricordo di niente. Ricordo soltanto idee e sensazioni. Perché? Che cosa è successo in nome di Dio?
- Stavi facendo il tè, disse Stephen, ed attraversasti il pianerottolo per prendere un altro po' di acqua calda. Tua madre uscì dal salottino con qualcuno ch'era venuto a trovarla. Ti domandò chi c'era in camera tua.
- E allora? disse Buck Mulligan. Che cosa ho detto? Non me ne ricordo.
Un rossore che lo fece apparire più giovane e attraente salì alla guancia di Buck Mulligan.
- Ho detto così? domandò. Be'? che male c’è? 
Si scrollò nervosamente di dosso il proprio impaccio.
- Che cos’è mai la morte, domandò, quella di tua madre o la tua o la mia? Tu non hai visto morire che tua madre. Io li vedo crepare ogni giorno al Mater o al Richmond e tagliati a lasagne in sala anatomica. È una cosa bestiale, e nient'altro. Non ha importanza, ecco tutto. Tu non hai voluto inginocchiarti a pregare per tua madre sul letto di morte quando lei te l'ha chiesto. Perché? Perché c'è in te quella maledetta vena di gesuita, solo che è iniettata a rovescio. Per me non è che una canzonatura, e bestiale. I suoi lobi cerebrali hanno smesso di funzionare. Lei chiama il dottore Sir Peter Teazle e coglie ranuncoli dall'imbottita. Assecondala finché dura. Tu hai contrariato la sua ultima volontà in punto di morte e adesso mi tieni il broncio perché non metto su una mutria da piagnone presa a nolo da Laluette. È un'assurdità. Magari l'ho anche detto. Non volevo offendere la memoria di tua madre.
Via via che parlava si era imbaldanzito. Stephen, facendo schermo alle ferite aperte nel suo cuore da quelle parole, disse molto freddamente:
- Non mi preoccupo dell'offesa fatta a mia madre.
- Di che cosa allora? domandò Buck Mulligan.
- Dell'offesa fatta a me, rispose Stephen.
Buck Mulligan girò sul calcagno.
- Oh, che uomo impossibile! Esclamò.
Si allontanò veloce costeggiando il parapetto. Stephen rimase al suo posto, vagando con lo sguardo sul mare tranquillo verso il promontorio. Mare e promontorio adesso si offuscavano. Gli occhi gli pulsavano, velandogli la vista, e si sentiva la febbre alle guance.

Una voce da dentro la torre urlò:
- Sei lassù, Mulligan?
- Vengo, rispose Mulligan.
Si voltò verso Stephen e disse:
- Guarda il mare. Che cosa gliene importa delle offese? Pianta Loyola, Kinch, e vieni giù. Il Sassone reclama le sue trance mattutine di bacon.
La sua testa tornò a fermarsi per un momento in cima alla scala al livello del tetto.
- Non mugugnarci sopra tutto il giorno, disse. Io parlo a vanvera. Desisti da codeste ruminazioni.
La testa scomparve ma il bòmbito della sua voce discendente emergeva rombando dalla cima delle scale:
Sull'amaro mistero dell'amore
Poi che Fergus governa i bronzei cocchi
Ombre silvane attraversavano fluttuando silenziose la pace mattutina dalla cima della scala verso il mare dove egli teneva fisso lo sguardo. Sulla spiaggia e più al largo biancheggiava lo specchio d'acqua sommosso da piedi frettolosi dai leggeri calzari. Bianco seno di fosco mare. Vocaboli paralleli, a due a due. Mano che pizzica le corde dell'arpa congiungendo gli accordi paralleli. Biancondose appaiate parole baluginanti sulla fosca marea.
Una nuvola cominciò a coprire lentamente, completamente, il sole, ombreggiando la baia di verde più fondo. Era alle sue spalle, bacino d'amare acque. La canzone di Fergus: la cantavo da solo in casa, tenendo in sordina i lunghi cupi accordi. La porta della sua camera era aperta: lei voleva sentire la mia musica. Silenzioso di sgomento e pietà mi avvicinai al suo capezzale. Piangeva nel suo letto sciagurato. Per quelle parole, Stephen: l'amaro mistero dell’amore.
E ora dove?
I suoi segreti: vecchi ventagli di piumecarnets di ballo con le nappe, incipriati di muschio, un fronzolo di chicchi d’ambra nel cassetto chiuso a chiave. Una gabbia da uccelli era appesa alla finestra soleggiata di casa sua quand'era bambina. Aveva sentito il vecchio Royce cantare nella pantomima di Turko il terribile e riso con gli altri quand'egli cantava: 

Possessor del nimbo
    Che lo fa invisibile. 

     Fantomatica gioia, piegata e messa via: profumata di muschio. 

     Non appartarti più per ruminare. 

   Piegata e messa via nella memoria della natura con i suoi balocchi. Ricordi gli assalivano il cervello rimuginante. Il bicchier d'acqua del rubinetto di cucina quando si era accostata al sacramento. Una mela svuotata, piena di zucchero caramellato, a rosolarsi per lei sul focolare in una buia sera d'autunno. Le sue unghie affusolate rosse del sangue di pidocchi strizzati sulle camicie dei bambini.
In un sogno, silenziosamente, era venuta a lui, il corpo consumato nel molle sudario spandeva un sentore di cera e di legno di rosa, l'alito, china su di lui con mute segrete parole, un lieve odore di ceneri bagnate.
I suoi occhi invetrati, fissi da oltre la morte, per scuotere e piegare la mia anima. Su me solo. La candela fantasma a illuminare la sua agonia. Luce spettrale sul viso tormentato. Il forte respiro rauco rantolante d'orrore, mentre tutti pregavano in ginocchio. I suoi occhi su di me per abbattermi. Liliata rutilantium te confessorum turma circumdet: jubilantium te virginum chorus excipiat.
No, mamma. Lasciami stare e lasciami vivere.    
     - Oh issa Kinch!
La voce di Buck Mulligan cantava dentro la torre. Si avvicinò al sommo della scala, ripetendo il richiamo. Stephen, ancora tremando al grido della sua anima, udì un caldo scorrere di luce solare e parole amiche nell’aria alle sue spalle.
- Dedalus, scendi, da bravo marmocchio. La colazione è pronta. Haines fa le sue scuse per averci svegliati la notte scorsa. Tutto è in regola.
- Vengo, disse Stephen volgendosi.
- Forza, per amor di Gesù, disse Buck Mulligan, per amore di me e per amore di tutti noi.
La sua testa sparì e riapparve.
- Gli ho detto del tuo simbolo dell'arte irlandese. Dice che è molto ben trovato. Spremigli una sterlina, ti va? Una ghinea, piuttosto.
- Mi pagano stamattina, disse Stephen.
- Quel casino di scuola? disse Buck Mulligan. Quanto? Quattro sterline? Prestacene una.
- Se ti serve, disse Stephen.
- Quattro sovrane splendenti, gridò Buck Mulligan con gusto. Faremo una grandiosa bevuta da sbalordire i druidici druidi. Quattro onnipotenti sovrane.
Agitò le braccia in aria e caracollò giù per gli scalini di pietra, cantando stonato con accento londinese:
Con whisky, birra e vino
Quando è il dì
Il dì dell'Incoronazione
Che bella festa, che bel festino
Il dì dell'incoronazione!
Calda solarità in festa sul mare. Il bacile di nichel brillava, dimenticato, sul parapetto. E perché dovrei portarlo giù? Oppure lasciarlo là tutto il giorno, amicizia dimenticata?
Si avvicinò, lo tenne un po' tra le mani, sentendone il fresco, annusando la bava collosa della schiuma in cui stava impegolato il pennello. Così reggevo il bossolo dell’incenso in quel tempo a Clongowes. Ora sono un altro eppure sempre lo stesso. Sempre un servo. Il servitore di un servo.
Nel fosco tinello a cupola della torre la sagoma di Buck Mulligan in vestaglia andava e veniva arzilla al focolare, nascondendone e scoprendone il giallo barbaglio. Due fasci di morbida luce mattutina piombavano dagli alti barbacani sul pavimento lastricato: all'incrocio dei loro raggi una nuvola di fumo di carbone e vapori di grasso fritto aleggiava, mulinando.
- Finiremo asfissiati, disse Buck Mulligan. Haines, apra quella porta, le spiace?
Stephen posò il bacile sulla credenza. Un’alta figura si levò dall'amaca dove stava seduta, andò alla bussola e spalancò i battenti interni.
- Ha la chiave? domandò una voce.
- L'ha Dedalus, disse Buck Mulligan. Mondo cane, soffoco.
Berciò senza alzare gli occhi dal fuoco:
- Kinch!
- È nella toppa, disse Stephen, venendo avanti.
La chiave stridette due volte aspramente e, quando la pesante porta venne socchiusa, entrarono gradita luce e aria vivida. Haines rimase nel vano, guardando fuori. Stephen trascinò fino al tavolo la sua valigia volta all'insù e sedette in attesa. Buck Mulligan spadellò il fritto sul piatto vicino a lui. Poi portò al tavolo il piatto e una gran teiera, li mise giù pesantemente e dette un respiro di sollievo.
- Mi sto sciogliendo, come disse la candela quando... Ma zitti! Non una parola di più su questo argomento. Kinch, sveglia. Pane, burro, miele. Haines, entri. Il rancio è pronto. Benedici noi, o Signore, e questi tuoi doni. Dov'è lo zucchero? Cribbio non c'è latte.
Stephen andò a prendere dalla credenza la pagnotta e il vasetto del miele e la vaschetta del burro. Buck Mulligan si sedette con improvvisa stizza.
- Che casino è questo? disse. Le avevo detto di venire dopo le otto.
- Possiamo prenderlo scuro, disse Stephen. C'è un limone nella credenza.
- Al diavolo te e le tue manie parigine, disse Buck Mulligan. Voglio latte di Sandycove.
Haines abbandonò la soglia e disse tranquillamente:
- Sta salendo quella donna col latte.
- Haines, Iddio la benedica, gridò Buck Mulligan saltando su dalla seggiola. Si sieda. Versi il tè. Lo zucchero è nel sacchetto. Forza, ne ho abbastanza di giostrare con queste uova della malora. 
Trinciò in lungo e in largo la frittata nel piatto e la sbatté su tre piattini, dicendo:
Haines si sedette per versare il tè.
- Vi do due zollette a testa, disse. Ma dico, lei Mulligan, lo fa forte il tè, vero?
Buck Mulligan, tagliando spesse fette dalla pagnotta, disse con una voce da vecchietta smancerosa:
- Quando faccio il tè faccio il tè, come diceva nonna Grogan. E quando faccio acqua faccio acqua.
- Per Giove, questo è tè, disse Haines.
Buck Mulligan continuò a tagliare e a parlare smanceroso.
- Proprio così, Mrs Cahill, dice lei. Perdinci signora, dice Mrs Cahill, Dio vi conceda di non farli nello stesso vaso.
Tese via via a ognuno dei suoi commensali una spessa fetta di pane, impalata sul coltello.
Si voltò verso Stephen e domandò con tornita inflessione dubitativa, alzando i sopraccigli:
- Ti sovviene, fratello, che il vaso del tè e dell'acqua di nonna Grogan si trovi menzionato nel Mabinogion ovvero nelle Upanishad?
- Ho i miei dubbi, disse gravemente Stephen.
- Davvero? disse nello stesso tono Buck Mulligan. E le tue ragioni, di grazia?
- Immagino, disse Stephen mangiando, che non sia mai esistito né dentro né fuori del Mabinogion. Nonna Grogan era, si suppone, consanguinea di Mary Ann.
Il viso di Buck Mulligan sorrise di piacere.
- Incantevole, disse con voce preziosa, mostrando i denti bianchi e strizzando amabilmente gli occhi. Credi proprio? Incantevole davvero.
Poi, rannuvolando d’un tratto tutta la faccia, grugnì con voce roca e rasposa mentre tornava ad affettare vigorosamente la pagnotta:
Non gliene frega niente.
Ma, alzando le gonnelle...
Si riempì la bocca di fritto e masticò e mugolò.
Il vano della porta fu oscurato da una figura che entrava.
- Il latte, signore.
- Avanti, signora, disse Mulligan. Kinch, prendi il bricco.
Una vecchia si fece avanti e si fermò accanto a Stephen.
- È una bella giornata, signore. disse. Sia gloria al Signore.
- A chi? disse Mulligan, dandole un'occhiata. Ah sì, naturalmente.
Stephen si sporse all'indietro e prese il bricco del latte dalla credenza.
- Gli isolani, disse Mulligan a Haines come di passata, parlano spesso dell'esattore di prepuzi.
- Quanto, signore? domandò la vecchia.
- Due pinte, disse Stephen.
La guardò mentre versava nel misurino e di lì nel bricco il pingue latte bianco, non il suo. Vecchie mammelle avvizzite. Ne versò un'altra misura colma e una giunta. Vecchia e segreta era entrata da un mondo mattutino, forse una messaggera. Vantava la bontà del latte, nel versarlo. Accoccolata presso una vacca paziente all'alba nel pascolo lussureggiante, strega sul suo fungo velenoso, dita grinzose alacri sui capezzoli sprizzanti. Muggivano intorno a lei che ben conoscevano, le bestie seriche di rugiada. Seta delle mucche e povera vecchietta, nomi che le si davano nei tempi andati. Una vegliarda errante, umile forma di un'immortale che serve chi la conquise e chi allegramente la tradì, loro druda comune, messaggera del segreto mattino. Se per servire o per rampognare, lui non avrebbe saputo dirlo: ma sdegnava di sollecitarne i favori.
- Proprio così, signora, disse Buck Mulligan, versando il latte nelle tazze.
- Lo assaggi, signore, disse lei.
Egli bevve al suo invito.
- Se soltanto potessimo vivere di cibo buono come questo, le disse a voce piuttosto alta, non avremmo il paese pieno di denti guasti e budella marce. Si vive in una palude infetta, si mangia cibo da pochi soldi con strade lastricate di polvere, merda di cavallo e sputi di tisici.
- Lei studia da medico, signore? domandò la vecchia.
- Sì, signora, rispose Buck Mulligan.
 - Guardi un po', disse la vecchia.
 Stephen ascoltava in sdegnoso silenzio. Quella china la vecchia testa a una voce che le parla forte, il suo conciaossa, il suo stregone: me mi sdegna. Alla voce di colui che la confesserà e che ungerà per la tomba tutto quel che resta di lei salvo i lombi immondi di donna, di carne d'uomo non fatta a somiglianza di Dio, preda del serpente. E alla voce alta che ora le impone di tacere con occhi stupiti incerti.
- Capisce quel che le dice? domandò Stephen.
- Parla francese, signore? disse la vecchia a Haines.
Haines tornò a parlarle, un più lungo discorso, sicuro di sé.
- Irlandese, disse Buck Mulligan. Mastica il gaelico lei?
- Mi pareva che fosse irlandese, disse lei, dal suono. Lei è dell'ovest, signore?
- Sono un inglese, rispose Haines.
- È inglese, disse Buck Mulligan, e pensa che dovremmo parlare irlandese in Irlanda.
- Certo che dovremmo, disse la vecchia, e io mi vergogno di non parlarlo. Mi dicono quelli che se ne intendono che è una gran lingua.
- Grande non è la parola, disse Buck Mulligan. È semplicemente meravigliosa. Versaci un altro po' di tè, Kinch. Ne gradisce una tazza, signora?
- No, grazie, signore, disse la vecchia, infilandosi il manico del bidone nell'avambraccio e disponendosi ad andarsene.
Haines le disse:
- Ha portato il conto? Sarebbe meglio pagarla, vero, Mulligan?
- Paghi col sorriso sulle labbra, gli disse Haines gaiamente.
Stephen riempì una terza tazza, il denso ricco latte colorandosi debolmente d'una cucchiaiata di tè. Buck Mulligan cavò fuori un fiorino, lo rigirò tra le dita e gridò:
- Miracolo!
Lo fece passare lungo la tavola verso la vecchia, dicendo:
Tutto quello che posso darle lo do.
Stephen le depose la moneta nella mano passiva.
- Dobbiamo ancora due pence, disse.
C'è tempo, signore, disse la vecchia prendendo la moneta. C'è tempo. Buongiorno, signore.
Fece la sua riverenza e se ne andò, seguita dalla tenera cantilena di Buck Mulligan:
Più ne sarebbe messo ai tuoi piedi. 
Si voltò a Stephen e disse:
- Sul serio, Dedalus. Sono all'asciutto. Fa una corsa a quel casino della tua scuola e portaci un po' di soldi.
     Oggi i bardi devono bere e sollazzarsi. In questa giornata l'Irlanda si aspetta che ognuno faccia il suo dovere.
- A proposito, disse Haines, alzandosi, ho da fare una visita alla vostra biblioteca nazionale oggi.
- La nostra nuotata prima di tutto, disse Buck Mulligan.
Si voltò a Stephen e domandò soavemente:
- È questo il giorno del tuo lavacro mensile, Kinch?
Poi disse a Haines:
- L'immondo bardo si picca di farsi il bagno una volta al mese.
- Tutta l'Irlanda è bagnata dalla corrente del golfo, disse Stephen facendo gocciare il miele su una fetta di pane.
Haines dall'angolo in cui stava placidamente annodando una sciarpa sul colletto floscio della camicia da tennis disse:
- Quello sullo specchio incrinato di una serva come simbolo dell'arte irlandese è maledettamente buono.
Buck Mulligan diede un calcio a Stephen sotto la tavola e disse con molto calore:
- Aspetti a sentirlo parlare di Amleto, Haines.
- Be', parlo sul serio, disse Haines sempre rivolto a Stephen. Ci stavo giusto pensando quando è arrivata quella povera vecchia.
- Potrei farci quattrini? domandò Stephen.
Haines rise e, prendendo il cappello di feltro grigio dal piolo dell’amaca, disse:
- Non saprei, davvero.
Si avviò verso la porta d’uscita. Buck Mulligan si chinò verso Stephen e disse con ruvida energia:
- Hai sfasciato tutto con le tue zampe adesso. Perché l’hai detto?
- Be'? disse Stephen. Il problema è di far soldi. Da chi? Dalla lattaia o da lui. Testa o croce, mi pare.
- Io ti faccio la piazza, disse Buck Mulligan, e poi arrivi tu con quel tuo schifoso sogghigno e i tuoi lugubri scherzi da gesuita.
- C’è poco da sperare, disse Stephen, sia dall’una che dall’altro.
Buck Mulligan sospirò tragicamente e posò la mano sul braccio di Stephen.
- Da me, Kinch, disse.
Poi con tono improvvisamente cambiato soggiunse:
- Per dirti la sacrosanta verità credo che tu abbia ragione. Non servono a un accidente d’altro. Perché non te li giostri come faccio io?  Il diavolo se li porti. Usciamo da questo casino.
Si alzò, solennemente discinto si spogliò della vestaglia, dicendo rassegnato:
Vuotò le tasche sul tavolo.
- Ecco il tuo moccichino, disse.
E mettendosi il colletto duro e la cravatta ribelle parlò a loro, rampognandoli, e alla catena dell’orologio ciondolante. Le mani si affondarono e frugarono nel baule mentre reclamava un fazzoletto pulito. Dio, non rimane che vestirsi in carattere. Ho bisogno di guanti color pulce e di stivali verdi. Contraddizione. Mi contraddico? Benissimo, sì mi contraddico. Mercuriale Màlachi. Un missile floscio e nero partì in volo dalle sue mani parlanti.
- Ed ecco il tuo cappello da Quartiere Latino, disse.
Stephen lo raccattò e se lo mise. Haines li chiamò dalla soglia:
- Venite, giovanotti?
- Io sono pronto, rispose Buck Mulligan, andando verso la porta. Vieni, Kinch. Hai mangiato tutto quel che abbiamo lasciato, immagino. 
Rassegnato uscì con gravità di parole e di incedere, dicendo quasiché con dolore:
Stephen, prendendo il bastone di frassino dal luogo d’appoggio, li seguì e, mentre scendevano la scala a pioli, si tirò dietro la lenta porta di ferro e chiuse la serratura. Mise la grossa chiave nella tasca interna.
Ai piedi della scala Buck Mulligan domandò:
- Hai preso la chiave?
- Ce l'ho, disse Stephen, precedendoli.
Camminò avanti. Sentiva dietro di sé Buck Mulligan percuotere col pesante asciugamano le cime più alte delle felci o delle erbe.
- Giù, cuccia. Come ardisci, canaglia?

▷ lettura ad alta voce 3

    Haines domandò:
- Pagate l'affitto per questa torre?
- Dodici sterline, disse Buck Mulligan.
- Al ministro della guerra, aggiunse Stephen voltando la testa.
Si fermarono mentre Haines contemplava la torre finché disse:
- Piuttosto desolata d’inverno, direi. Martello la chiamate?
- Le ha fatte costruire Billy Pitt, disse Buck Mulligan, quando i francesi correvano il mare. Ma la nostra è l'omphalos.
- Qual è la sua idea di Amleto? domandò Haines a Stephen.
- No, no, gridò Buck Mulligan dolorante. Non sono all’altezza di Tommaso d'Aquino e delle cinquantacinque ragioni che ha inventato per sostenerla. Aspetti che mi sia messo qualche pinta in corpo.
Si voltò verso Stephen, dicendo mentre si tirava giù con cura le punte del panciotto color primula:
- Non ce la faresti con meno di tre pinte, vero, Kinch?
- Ha aspettato tanto, disse Stephen noncurante, che può aspettare ancora.
- Lei stuzzica la mia curiosità, disse amabilmente Haines. Si tratta di un paradosso?
- Puah! disse Buck Mulligan. Ci siamo svezzati da Wilde e dai paradossi. È semplicissimo. Dimostra con l'algebra che il nipote di Amleto è nonno di Shakespeare e che lui stesso è il fantasma di suo padre.
- Cosa? disse Haines, abbozzando un cenno verso Stephen. Lui stesso?
Buck Mulligan si buttò l'asciugamano attorno al collo a mo' di stola e, piegandosi in una aperta risata, disse all'orecchio di Stephen:
- Oh, ombra di Kinch il vecchio! Giafet in cerca di un padre!
- Al mattino siamo sempre stanchi, disse Stephen a Haines. Ed è un discorso un po' lungo.
Buck Mulligan, tornando ad avviarsi, alzò le mani.
- Voglio dire, spiegò Haines a Stephen mentre si rincamminavano, che questa torre e questa scogliera mi ricordano un po’ Elsinore. Che strapiomba sulla sua base nel mare, non è vero?
Buck Mulligan si voltò repentinamente per un attimo verso Stephen ma non parlò. In quello splendido attimo di silenzio Stephen vide la propria immagine in misere polverose gramaglie tra i loro vestiti vivaci.
- È una storia meravigliosa, disse Haines facendoli fermare un'altra volta. 
Occhi, pallidi come il mare che il vento aveva rinfrescato, più pallidi, fermi e prudenti. Signore dei mari, guardava a sud attraverso la baia, vuota con solo il pennacchio di fumo del postale, vago sulla linea luminosa dell'orizzonte, e una vela che bordeggiava dinanzi ai Muglins.
- Ne ho letto in qualche posto un’interpretazione teologica, disse meditabondo. L'idea del Padre e del Figlio. Il Figlio che tenta di riconciliarsi col Padre.
Immediatamente Buck Mulligan assunse un volto lieto dal largo sorriso. Li guardò, la ben modellata bocca aperta giovialmente, gli occhi, dai quali aveva fatto scomparire a un tratto ogni accento di furbizia, ammiccanti di folle gaiezza. Ciondolava in qua e in là una testa da pupazzo, con la tesa del panama che palpitava, e cominciò a salmodiare con voce quieta beata sciocca:
 - Sono il più gran fenomeno di cui si sia mai detto.
Per Beppe il Falegname son di parer contrario
Perciò beviamo tutti, discepoli e Calvario.
 Alzò un indice ammonitore.
- A chi non crede ancora nell’esser mio divino
Non darò a bere gratis quando farò del vino
Ma dovrà bere l’acqua, e chiaro gli sarà
Che faccio, quando il vino in acqua tornerà. 
 Dette un vispo colpetto di commiato al bastone di Stephen e, correndo verso un ciglio della scogliera, sventolò le mani sui fianchi a mo' di pinne o ali di chi stia per alzarsi a volo, e salmodiò:
 - Addio, cari. Scrivete quello ch’ho raccontato
E dite a Tizio e a Caio che son resuscitato.
Data la mia ascendenza certo volerò anch’io,
E sul monte Oliveto c’è vento... Addio, addio. 
Saltabeccò davanti a loro giù verso il Balzo dei Quaranta Piedi, sventolando le mani come ali, con agili salti, il pétaso di Mercurio palpitante nella fresca brezza che portava loro grida dolcinguettanti.
Haines, che aveva cautamente riso, sempre camminando accanto a Stephen, gli disse:
- Non dovremmo ridere, forse. È piuttosto blasfemo. Non che io sia credente, intendiamoci. E poi in ogni caso la sua allegria toglie alla cosa ogni malizia, vero? Come l'ha chiamato? Beppe il Falegname?
- La ballata di Gesù Giullare, rispose Stephen.
- Oh, disse Haines, l'aveva sentita altre volte?
- Tre volte al giorno dopo i pasti, rispose seccamente Stephen.
- Lei non è credente, vero? domandò Haines. Voglio dire credente nel senso ristretto del termine. La creazione dal nulla e i miracoli e un Dio personale.
- La parola ha un solo senso mi sembra, disse Stephen.
Haines si fermò per tirar fuori un lucido astuccio d’argento su cui brillava una pietra verde. Fece scattare la molla con il pollice e lo porse.
- Grazie, disse Stephen, prendendo una sigaretta.
Servitosi, Haines ne riabbatté il coperchio. Lo rinfilò nella tasca laterale ed estrasse dal taschino del panciotto un acciarino di nichel, fece scattare anche questo e, dopo aver acceso la sua sigaretta tese a Stephen l'esca fiammeggiante nella conchiglia delle mani.
- Sì certo, disse, mentre proseguivano. O si crede o non si crede, vero? Personalmente non potrei mandare giù quell'idea di un Dio personale. Lei non l'accetta, immagino.
- Lei contempla in me, disse Stephen con un ostico disgusto, un orribile esempio di libero pensiero. 
 Seguitò a camminare, aspettando che gli si rivolgesse la parola e trascinandosi dietro il bastone. Il puntale lo seguiva leggermente sul sentiero squittendogli alle calcagna. Il mio spirito familiare, dietro di me, che chiama Steeeeeeeephen. Una linea ondulata lungo il sentiero. Ci cammineranno sopra stasera, venendo qui al buio. Vuole quella chiave. È mia, ho pagato io l'affitto. E ora mangio il suo pane che sa di sale. Dàgli anche la chiave. Tutto. La chiederà. Questo era nei suoi occhi.
- Dopo tutto, cominciò Haines...
Stephen si voltò e vide che il freddo sguardo che lo aveva misurato non era del tutto malevolo.
- Dopo tutto, direi che si è sempre in grado di liberarsi. Si è padroni di se stessi, mi pare.
- Italiana? disse Haines.
Una babilonica sovrana vecchia e gelosa. Inginocchiati davanti a me.
- E ce n'è un terzo, disse Stephen, che mi vuole per lavori spiccioli.
- Italiana? ripeté Haines. Che vuol dire?
- Il governo imperiale britannico, rispose Stephen, accendendosi in volto, e la santa chiesa cattolica apostolica romana.
Prima di parlare, Haines si staccò dal labbro inferiore qualche filo di tabacco.
- Capisco perfettamente, disse calmo. Un irlandese deve pensarla così, direi. Noi in Inghilterra sentiamo di avervi trattato piuttosto ingiustamente. Parrebbe che la colpa sia della storia.
Gli alteri, possenti attributi fecero rimbombare nella memoria di Stephen il trionfo delle loro bronzee campane: et unam sanctam catholicam et apostolicam ecclesiam: il lento evolversi e mutare del rito e del dogma simili ai suoi peregrini pensieri, alchimia di stelle. Simbolo degli apostoli nella messa di Papa Marcello, le voci fuse, ciascuna cantando forte nell'asserzione: e dietro il loro cantico l'angelo di scolta della chiesa militante disarmava e minacciava gli eresiarchi. Una torma di eresie in fuga con le mitrie a sghimbescio: Fozio e la genìa di schernitori uno dei quali era Mulligan, e Ario, che aveva battagliato tutta la vita sulla consustanzialità del Figlio col Padre, e Valentino, che spregiava il corpo terreno del Cristo, e il sottile eresiarca africano Sabellio che sosteneva che il Padre era Figlio di Se Stesso. Parole che Mulligan aveva detto un minuto prima per canzonatura all'estraneo. Vana canzonatura. Il vuoto incombe certamente su tutti quelli che tessono il vento: minacciati, disarmati e sconfitti dagli angeli della chiesa schierati in battaglia, l'oste armata di Michele, che la difende sempre nell'ora del conflitto, con lance e usberghi.
- Naturalmente sono un britanno, disse la voce di Haines, e sento da britanno. E non voglio neanche vedere il mio paese cadere in mano di ebrei tedeschi. Attualmente, è questo il nostro problema nazionale temo.
Due uomini ritti sull’orlo della scogliera, guardavano intenti: uomo d'affari, barcaiolo.
- È diretta verso Bullock Harbour.
Il barcaiolo accennò verso il nord della baia con una certa degnazione.
- Son cinque tese laggiù, disse. Sarà trascinato da quella parte quando salirà la marea verso l'una. Sono nove giorni oggi.
L’uomo che era annegato. Una vela virava nella baia vuota in attesa che un gonfio fagotto venisse a galla, rivoltolasse al sole un volto tumefatto, bianco salino. Eccomi.
Scesero lungo il sentiero serpeggiante fino alla caletta. Buck Mulligan era ritto su un masso, in maniche di camicia, la cravatta senza fermaglio sventolante su una spalla. Un giovanotto aggrappato a uno sprone roccioso vicino a lui muoveva lentamente a guisa di rana le gambe verdi nella fonda gelatina dell'acqua.
- Tuo fratello è con te, Màlachi?
- È giù a Westmeath. Coi Bannon.
- Ancora là? Ho avuto una cartolina da Bannon Dice che ha trovato una piccola dolce pupetta laggiù. Ragazza da foto la chiama lui.
- Istantanea, eh? Posa breve.
Buck Mulligan si sedette per slacciarsi le scarpe. Un uomo anziano cacciò fuori dallo sperone della roccia un viso rosso ansimante. Arrancò su per le pietre, con l'acqua che gli brillava sulla zucca e sulla ghirlanda di capelli grigi, acqua ruscellante sul petto e sul pancione e sgorgante a fiotti dal pendulo nero cingilombi.
Buck Mulligan si scostò per lasciare che si arrampicasse e, con un'occhiata a Haines e Stephen, si fece piamente il segno di croce con l'unghia del pollice sulla fronte  e sulle labbra e sullo sterno.
- Seymour è tornato in città, disse il giovane riafferrando il suo sperone di roccia. Ha piantato la medicina e si dà alla carriera militare.
- Oh, va con Dio, disse Buck Mulligan.
- Parte la settimana prossima per fare la sgobbata. Conosci quella rossa di Carlisle, Lily?
- Sì.
- Filava con lui ieri sera sul molo. Il padre è fradicio di soldi.
- Si è fatta inguaiare?
- Bisognerebbe domandarlo a Seymour.
- Seymour fottuto ufficiale, disse Buck Mulligan.
Annuì a se stesso mentre si sfilava i pantaloni e, alzandosi in piedi, diceva l'adagio:
- Le rosse di pelo cozzano come capre.
S’interruppe spaventato, palpandosi un fianco sotto la camicia svolazzante.
Si districò dalla camicia e se la gettò dietro le spalle dove si ammucchiavano i suoi vestiti.
- Ti butti qui, Màlachi?
- Sì. Fai posto nel letto.
Il giovane si spinse a ritroso nell’acqua e arrivò in mezzo alla caletta con due magistrali bracciate.
Haines si sedette su una pietra, a fumare.
- Lei non si butta? domandò Buck Mulligan.
- Più tardi, disse Haines. Non subito dopo colazione. Stephen si volse per incamminarsi.
- Io me ne vado, Mulligan, disse.
- Dacci quella chiave, Kinch, disse Buck Mulligan, per tenere distesa la camicia.
Stephen gli porse la chiave. Buck Mulligan la posò di traverso sul mucchio dei vestiti.
- E due pence, disse, per una pinta. Buttali lì.
Stephen buttò due monete sul soffice mucchio. Vestirsi, svestirsi. Buck Mulligan eretto, con le mani giunte davanti a sé, disse solennemente:
Il suo corpo paffuto si tuffò.
- Ci rivedremo, disse Haines, voltandosi e sorridendo dei pazzi irlandesi mentre Stephen risaliva il sentiero.
Corno del toro, zoccolo del cavallo, sorriso del sassone.
- Bene, disse Stephen.
Si incamminò per l’erta del sentiero zigzagante.

Turma circumdet
Jubilantium te virginum.

L’aureola grigia del prete nella nicchia dove si rivestiva pudicamente. Non dormirò qui stanotte. Neanche a casa posso andare.
Una voce, dolcecanora e tenuta, lo chiamò dal mare. Alla svolta egli sventolò la mano. Quella chiamò ancora. Una testa bruna liscia, di foca, al largo sul mare, tonda.


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